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Immagine del redattoreAscanio Palumbo

Perché la concia al cromo inquina le nostre acque

Aggiornamento: 23 nov 2021

La concia al cromo venne introdotta verso la fine dell’Ottocento. Da allora tale metodo subì una larga diffusione in quanto in questo modo il processo di concia può avviene in tempi più rapidi rispetto a quelli della concia vegetale al tannino. Il processo di concia al cromo può durare da un minimo di 3-6 ore per pelli piccole e sottili, fino ad un ciclo di lavorazione di circa 20-24 ore per le pelli più resistenti e pesanti. Sebbene tale metodo abbia innovato i processi produttivi, nasconde dalla sua la pecca di essere altamente inquinante per l'ambiente naturale che lo circonda. Infatti, le acque reflue prodotte dalle concerie si distinguono per il loro elevato contenuto di agenti inquinanti organici e inorganici. La composizione degli scarichi idrici dipende principalmente dal tipo di conciante utilizzato e per la concia al cromo, gli stessi sono ricchi di cromo trivalente Cr(III), cloruri e solfati. Tali composti se in concentrazioni elevate sono dannosi per la salute umana e quella animale, compromettendo la potabilità dell'acqua in cui gli stessi si trovano. Un'ovvia alternativa è la concia vegetale, la quale utilizza come conciante i tannini e i suoi scarichi influenzano parametri come il COD, fenoli e solidi sospesi. Si definisce “al vegetale” perché le sostanze utilizzate nella concia (i cosiddetti “agenti concianti”) sono i tannini, estratti naturali derivanti esclusivamente da fonti vegetali come il legno di castagno e di quebracho, le noci di galla e i baccelli di Tara.


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